tratto dal sito: http://www.francescomorante.it
La nascita dell’architettura rinascimentale
In Italia, e soprattutto a Firenze, il confronto tra l’architettura gotica, che si sviluppava al nord, e la visione classica mutuata dell’architettura romana, rendeva palesi contraddizioni non più sanabili in uno stile unitario. Il gotico era troppo diverso dal classicismo greco-romano: se si sceglieva uno bisognava negare l’altro. Tale diversità finì per negare del tutto l’architettura medievale nel suo complesso, per ritornare a principi di classicità più rigorosi.
Questo passaggio è in relazione con l’avvento del Rinascimento, ma va inquadrato nell’ambito di un rinnovamento culturale, molto più ampio delle sole esigenze artistiche. Esso coincise con la fine di un medioevo che faceva della trascendentalità religiosa l’unica fonte di conoscenza o di ispirazione artistica. L’umanesimo portò a riconsiderare il ruolo del singolo individuo nell’universo in cui agiva, rinnovò dalle fondamenta anche i ruoli e le funzioni che un architetto aveva rispetto alla società in cui operava.
Nel medioevo l’architetto era il muratore-capo del cantiere in cui avveniva la costruzione di un edificio. In pratica era colui che dirigeva gli altri muratori, lavorando con loro. Quindi non vi era un momento ideativo o progettuale distinto rispetto alla fase realizzativa. Ma ideazione e realizzazione procedevano di pari passo.
Questo era in accordo con la visione medievale, che considerava preminente la fase esecutiva nel processo artistico: in pratica l’artista era colui che «sapeva fare». Questo finiva per porre gli artisti un gradino più in basso nella graduatoria sociale rispetto ai matematici o ai letterati: questi ultimi, lavorando solo intellettivamente, praticavano le «arti liberali», mentre gli artisti, lavorando con le mani, praticavano le «arti meccaniche».
Con l’avvento del Rinascimento, gli artisti rivendicarono anch’essi il ruolo di artisti «liberali», ossia di intellettuali, in quanto considerarono preminente, nel processo artistico, la capacità di «ideare», che è una funzione intellettiva, rispetto a quella di «eseguire». L’essere arrivati a distinguere, sia concettualmente che praticamente, la fase di ideazione rispetto a quella esecutiva, ebbe riflessi notevolissimi soprattutto in campo architettonico. Da allora, infatti, all’architetto compete solo la fase progettuale dell’architettura: suo compito è ideare e redigere un progetto; ad altri è demandata la realizzazione dell’opera.
tratto dal sito: http://www.francescomorante.it
Architettura Manierista
Il Quattrocento è stato un secolo di arte rinascimentale solo per l’Italia, e in particolare per quella centrale. Nel resto d’Europa, specie al nord, si era continuato a praticare quel gotico fiorito, fatto di archi acuti e intrecci incredibili di nervature, secondo un virtuosismo oramai prossimo alla caduta di ispirazione.
Il Cinquecento rappresentò il trionfo del rinascimento che si impose in campo artistico, e non solo architettonico. Rappresentò il trionfo del gusto italiano, che si affermò in un mondo sostanzialmente nuovo. Il medioevo era oramai tramontato dappertutto. Dal 1492 – data della scoperta dell’America – in poi, caddero molti di quegli assunti dogmatici di fede religiosa, che prima avevano imposto al mondo una visione sostanzialmente teologica della vita e dell’universo. Il Cinquecento, da Copernico a Lutero, proseguì questo processo di laicizzazione universale. Il gotico era ancora troppo pervaso di misticismo medievale; il rinascimento, per contro, affidandosi a forme ed immagini tratte dalla classicità precristiana, ma soprattutto facendosi ispirare da un metodo sostanzialmente basato sulla razionalità, interpretava sicuramente meglio la nuova visione laica del mondo.
Certo è che, la fede da un lato, e la religione dall’altro, conobbero in questo secolo profonde crisi, che produssero il protestantesimo e la controriforma, l’inquisizione e la caccia alle streghe. Tutto ciò produsse i suoi riflessi anche sull’architettura, in particolare religiosa. Ma, prima che ciò avvenisse, il rinascimento italiano produsse un ultimo genio, che dette, dell’architettura classica, un’interpretazione sublime: Andrea Palladio.
Tratto dal sito: http://www.geometriefluide.com/pagina.asp?cat=500&prod=architetturaveneta500
Architettura veneta del 1500
Negli anni '30 del Cinquecento in Veneto si compie un importante rinnovamento nell'architettura per la presenza di alcuni architetti che portano avanti un nuovo linguaggio. Il processo di evoluzione si compie su due fronti contemporaneamente: attraverso uno studio teorico-scientifico e mediante l'applicazione sperimentale di tali conoscenze.
In Veneto si è già formata da tempo una solida tradizione di studi umanistici, incentivata dall'arrivo di diversi artisti e architetti fuggiti da Roma in seguito al terribile Sacco del 1527. Gran parte dei mecenati locali e degli esponenti politici in Veneto sono interessati ad aprirsi verso uno stile più moderno. Promuovono quindi numerosi interventi di rinnovamento urbano e territoriale, con costruzioni sia di carattere civico e religioso - come gli edifici pubblici, le piazze e le chiese - sia di uso privato, come i palazzi e le ville principesche.
In questo contesto si crea anche un interessante sinergica collaborazione tra i mecenati - spesso intellettuali e dilettanti di architettura - e gli architetti.
Ad esempio, dal sodalizio tra il nobile veneziano Alvise Cornaro e l'architetto Giovanni Maria Falconetto, secondo molti studiosi, ha avuto origine la corrente del classicismo veneto.
Un'altra importante intesa è stata quella che si è stabilita tra l'umanista Giangiorgio Trissino, appassionato e dilettante di architettura, sia con lo stesso Cornaro, sia, in seguito, con Palladio, provocando altre fondamentali conseguenze.
In questo vivace ambiente intellettuale sono stati coinvolti maestri come Jacopo Sansovino, Michele Sanmicheli (entrambi formatisi a Roma) e Sebastiano Serlio, che hanno trapiantato a Venezia le loro esperienze di gusto classico.
Nascono così a Venezia capolavori come il rinnovamento delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, ad opera di Sansovino. Nella stessa Serenissima Sanmicheli progetta Palazzo Pompei e Palazzo Bevilacqua, per poi spostarsi a svolgere altri lavori a Verona. Sansovino viene incaricato della sistemazione di Piazza San Marco, progetta gli splendidi edifici della Zecca e la Libreria di San Marco.
Non mancano inoltre i trattati di architettura, come i Sette Libri dell'Architettura del Serlio, fondamentali per lo sviluppo del suo linguaggio architettonico veneziano.
Sanmicheli a Verona progetta una serie di fortificazioni e porte cittadine, come la Porta del Palazzo del Capitano del 1533, e Porta Nuova, a Padova realizza i Bastioni Cornaro.
Verso la fine del primo trentennio del secolo XVI inoltre sorge una stella di prima grandezza dell'architettura del '500: Andrea Palladio. Scoperto da Giangiorgio Trìssino, Palladio esordisce nel 1538, proprio collaborando con l'umanista alla costruzione di Villa Badoer a Cricoli. Ma con le sue opere successive, Palladio segnerà una svolta fondamentale, creando un nuovo stile architettonico che avrà importantissime conseguenze.
A. Cocchi
tratto dal sito: http://www.francescomorante.it
Andrea Palladio
La corretta applicazione degli ordini architettonici era stata premura costante di tutti gli architetti rinascimentali. Essi, come gli antichi romani, riconoscevano negli ordini un principio di proporzionalità di garantita efficacia. E alla metà del Cinquecento, quando la nuova architettura era oramai universalmente applicata, numerosi furono i trattati scritti per meglio conoscere ed applicare gli ordini architettonici. Tra questi trattatisti vi fu il Vignola, il Serlio ed Andrea Palladio.
Il Palladio non si limitò, tuttavia, a teorizzare. Egli realizzò numerose costruzioni, soprattutto a Vicenza, sua città natale, e a Venezia. Nei suoi edifici l’applicazione degli ordini architettonici era più rigorosa che in qualsiasi altro architetto rinascimentale, nonostante ciò, il risultato che otteneva era di un’assoluta originalità.
Il suo segreto era soprattutto nei prospetti. Le varie parti che componevano l’esterno di un edificio, sia che giacessero sullo stesso piano, sia che giacessero su piani diversi, venivano trattate con assoluta chiarezza, dando ad esse un’«impaginazione» da designer. Ciò che quindi creò l’originalità di Palladio fu la sua capacità di compositore. Le sue erano creazioni in cui i singoli elementi perdevano la loro individualità, per dar luogo ad una nuova unità: la composizione.
Pertanto, benché egli usasse porticati che erano delle perfette testate di templi greci, queste, inserite nel contesto dei suoi edifici, acquistavano un’immagine totalmente nuova ed inedita. E l’esempio potrebbe estendersi alle altre componenti classiche che egli usava. Questa sua capacità di separare ed omogeneizzare gli elementi classici nelle composizioni prospettiche lo portò ad utilizzare soluzioni che dopo di lui divennero molto in voga, quale l’«ordine gigante» che si estendeva su due o più piani di un edificio, o il motivo che da egli prese il nome di «palladiana».
Tra gli edifici suoi più noti vi fu la basilica di Vicenza, alcune chiese di Venezia: il Redentore e San Giorgio Maggiore, alcuni palazzi di Vicenza, ed il Teatro Olimpico realizzato nella stessa città. Ma soprattutto sono rimaste famose le ville che egli realizzò nella campagna veneta. Questi interventi istituivano un rapporto molto suggestivo e poetico, tra edificio e campagna, tale che la loro fortuna non ha mai conosciuto cadute. E sono stati tra gli edifici più ammirati e copiati, soprattutto dagli inglesi, che dal XVII secolo in poi, hanno esportato questo stile in tutto il mondo, dall’America all’Australia, dall’India al Sud-Africa, divenendo l’immagine stessa dell’architettura coloniale inglese.