Il giardino

Paradiso Terrestre

 

Il termine giardino deriva da “paradiso”.  Quest'ultimo deriva dal sanscrito paradesha o paese supremo, più tardi occidentalizzato in pairidaeza (iranico) che è un composto di pairi- (attorno) e -diz (creare), paràdeisos (greco), pardes (ebraico), partez (armeno) e paradisus (latino), da cui derivò l’italiano paradiso.
In epoche arcaiche il simbolo del giardino rappresentava l'insieme dell'aldilà dei beati.

Secondo l'iconografia cristiana, il giardino simboleggia la purezza, spesso raffigurato con la presenza della Vergine Maria. Leggendo la genesi, nella descrizione dell'eden (tradotto anche come “paradiso Terrestre”) si ritrovano le seguenti frasi “...E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. [Genesi 1,26].” 


 Il giardino all’italiana

 Tratto dal sito:
http://www.giardinaggio.it/arredo-giardino/giardinaggio/giardino-italiana.asp

giardino all'italianaIl giardino all’italiana è uno stile di giardino che nasce in Italia nel XV secolo. La sua evoluzione parte dalle ville dei nobili che avevano molto spazio a disposizione e, per renderlo gradevole quanto la loro dimora, cercavano una particolare disposizione di alberi e fiori. Il giardino all’italiana non si sviluppa obbligatoriamente solo su un unico piano ma può avere anche terrazze e giardini pensili. L’evoluzione del giardino perfeziona nel corso del tempo la sua architettura e le forme diventano sempre più aggraziate.

Nel contesto generale del giardino all’italiana occorre includere anche il giardino barocco, identificabile nel giardino di Boboli a Firenze. Il giardino completa da sempre lo spazio esterno e lo rende non solo più gradevole esteticamente ma anche sfruttabile per delle passeggiate o per organizzare delle feste.

Il giardino all’italiana permette di riscoprire come diverse specie di alberi e fiori siano in grado anche di convivere tra loro creando una piacevole armonia. È proprio verso la fine del XVI secolo che iniziarono a nascere i primi giardini botanici, che servivano a raccogliere specie provenienti da tutto il mondo. L’architettura del giardino italiano fu certamente influenzata dalla riscoperta dei classici, le stesse aiuole ripresero una forma rigorosa e geometrica. Il periodo impose la realizzazione di giardini dalla forma precisa e ben definita. Successivamente il Barocco offrì la possibilità di inserire ulteriori elementi come le cascate e le sculture ricavate dai bossi.

Il giardino diventa così un luogo stimolante, grazie allo scorrere dell’acqua e all’infinita possibilità di rappresentare tantissime figure ricavandole dal bosso. In realtà il giardino diventava così qualcosa di molto elaborato, quasi artificioso e si discostava da quello che era il concetto di natura ‘libera’. Quasi in contrapposizione a tutto questo, il giardino iniziò a includere anche importanti elementi naturali come le cascate o dei laghetti.

Solo nell’ottocento furono realizzati i primi parchi pubblici e tutti poterono godere di questa bellezza che fino ad allora era rimasta appannaggio esclusivo delle classi abbienti. Oggi i più importanti giardini italiani sono visitabili e sono dei veri e propri capolavori del giardinaggio, che richiedono una costante cura e manutenzione, dove ancora sopravvivono.

 


 

Il giardino romantico all’inglese

Scorcio del giardino di villa RobertiLa filosofia dei giardini all’inglese

 

La filosofia dei giardini all’inglese è totalmente opposta a quella dei giardini all’italiana.

Alla base di un giardino all’inglese, infatti, c’è la concezione che la natura è capace da sola di suscitare emozioni, senza alcun bisogno dell’intervento dell’uomo.

Il giardino all’inglese da libero sfogo alla natura, mentre il giardino all’italiana richiede rigore ed estrema attenzione alle forme geometriche che riempiono lo spazio.

Tutte le piante e i fiori vanno scelti con la cura che meritano, e disposti secondo un ordine preciso, ma poi vengono  lasciati liberi di esprimersi nella loro forma più selvaggia.

E’ proprio la filosofia dei giardini all’inglese il motivo per cui in questi spazi verdi si trova l’espressione migliore della natura e dei suoi paesaggi.

Questa loro caratteristica non significa che essi non abbiano bisogno di cure attente e continue, anzi.

Prima di tutto non sono così semplici da comporre e, in secondo luogo, è necessario apportare continue modifiche che man mano posso rendersi necessarie.

 

Giardino all’inglese: caratteristiche

giardino romanticoIl giardino all’inglese nasce verso la fine del Settecento e segna una svolta nel suo ambito di appartenenza perché abbandona gli schemi fissi, gli spazi troppo definiti e i giochi prospettici in favore degli accostamenti tra elementi naturali e artificiali.

Grotte, ruscelli, bellissimi arbusti e piante rigogliose si succedono, dando vita ad un paesaggio naturale: in questo modo, più che focalizzarsi su un singolo aspetto, essi creano una visione di insieme assolutamente mozzafiato.

La filosofia di queste realizzazioni vuole creare un continuo contrasto tra il maestoso e il malinconico e trova proprio nella composizione delle varietà di alberi e piante la sua ragion d’essere.

In questi giardini mancano completamente i percorsi rettilinei: tutto è lasciato quasi al caso, o almeno così sembra ad un occhio inesperto.

Il giardino all’inglese come si intende oggi, quindi, è principalmente a carattere paesaggistico e viene organizzato ben lontano dalla casa.

Ad essere evitati sono i terreni pianeggianti, almeno per quanto è possibile.

Questo perché i piccoli avvallamenti danno una sensazione di maggiore riposo e sono il risultato tangibile dell’irregolarità della natura.

Anche l’acqua viene usata in modo irregolare ed è quasi sempre l’elemento più romantico di tutto il giardino.

Spesso i laghetti artificiali sono disposti accanto alle rovine, alle grotte o alle rocce, anche se si tratta di elementi artefatti.

Molta importanza viene data anche al sottobosco, sempre fiorito. Esso va curato in modo attento e scrupoloso, senza per questo sottrargli la sua naturalezza.


 

Il giardino paesaggistico

giardino paesaggisticoQuando si parla di giardino all’inglese, si sente anche parlare di giardino paesaggistico.

In effetti, l’una e l’altra definizione si sovrappongono fino a confondersi.

Il giardino all’inglese è considerato un giardino paesaggistico.

La filosofia dei giardini all’inglese già spiega da sola il motivo di questa identità.

Nel momento in cui si decide di lasciare spazio alla natura e di farla respirare secondo i suoi ritmi, si sta già decretando il successo del paesaggio naturale, che trova nella libertà la sua massima espressione.

L’illusione che da il giardino all’inglese è quella di trovarsi in un territorio allo stato brado, selvaggio e, quindi, assolutamente naturale.

Gli architetti del verde inglese, prima di tutto, abolirono l’arte topiaria1, i terrazzi, i boschetti e i canali per fare spazio a un giardino con dolci pendii, alberi isolati o a gruppi, piccoli ruscelli e false rovine di presunta appartenenza romana o gotica.

A guardare il giardino delle Reggia di Caserta, dove si trova, addirittura, la riproduzione di una piccola Pompei romana, si può verificare dal vivo ogni singola caratteristica del giardino all’inglese appena descritto.

 

 1 - l'arte topiaria consiste nel potare alberi e arbusti al fine di dare loro una forma geometrica, diversa da quella naturalmente assunta dalla pianta, per scopi ornamentali. Si formano così siepi formali, oppure partendo da esemplari singoli o piccoli gruppi, soggetti con varie forme, astratte oppure di animali, oggetti, persone


 Le pareti esterne

affresco esternoAndrea dalla Valle inventa e spezza il terreno in cui sono comprese la casa dominicale e la Barchessa in un reticolato geometrico composto da due cortili quadrati a ponente e a levante, dalla grande corte che unisce i due edifici e dall’enorme spazio rettangolare interno al muro. Il risultato è un’impressione di regolarità e proporzione.

L’architetto cerca la semplicità di una squadrata struttura racchiusa da muri: il Palazzo è concepito all'interno di un muro merlato che lo cinge e lo nasconde come una realtà fiabesca tutta autonoma.

Gli affreschi sono contemporanei alla costruzione del Palazzo, eseguiti tra il 1552 e il 1553.

Tra gli affreschi esterni vanno nominati quelli che adornano la colombara e quelli nei muri dell’antica cucina di cui attualmente rimangono solo i segni del chiodo che delinea i contorni di figure e fiori.

La decorazione dei muri esterni del Palazzo riporta scene di storia romana ed aspetti mitologici. Oggi sono quasi completamente perduti: l'arrivo del riscaldamento domestico con l'uso del gasolio, all'epoca poco raffinato, ha pesantemente inquinato l'aria con lo zolfo residuo della combustione. La reazione chimica tra questa micidiale sostanza e gli affreschi esterni hanno portato alla situazione attuale.

Nella facciata che dà sul giardino principale e la corte sono rappresentate due giovani donne che reggono lo scudo con le armi di casa Roberti; più in basso si possono ancora vedere grandi riquadri di storia romana.

Sotto le finestre del primo piano siedono imponenti figure raffiguranti le virtù. Agli angoli dell’edificio sono dipinti trofei militari.

La facciata esterna meglio conservata è quella rivolta verso il piccolo ed intimo giardino interno.

 

clicca sotto per vedere la galleria
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 La barchessa

la barchessa

 La barchessa, barcòn o barco è un edificio rurale di servizio tipico dell'architettura della villa veneta, è destinato a contenere gli ambienti di lavoro, dividendo lo spazio del corpo centrale della villa, riservato ai proprietari, da quello dei contadini.

Di norma le barchesse erano caratterizzate da una struttura porticata ad alte arcate a tutto sesto ed adibite ai servizi: dalle cucine, alle abitazioni dei contadini, alle stalle e agli annessi rustici (rimessa per arnesi agricoli, magazzino per scorte alimentari ed altro).

Nell'area della Repubblica di Venezia le barchesse -spesso più d'una- quasi sempre si dispongono lateralmente alla casa dominicale o padronale (il corpo centrale della villa che ospita la residenza del proprietario) e, di norma, sono parte integrante di un grande complesso agricolo produttivo. Andrea Palladio diede dignità architettonica alle barchesse, affiancandole, allineandole e collegandole alla casa padronale, conferendo all'insieme maggiore simmetria e monumentalità.

Anche l'orientamento era importante: nei suoi “Quattro libri dell'architettura” (Venezia, 1570), Palladio afferma che le barchesse dovrebbero essere esposte a Sud in modo da tenere asciutta la paglia, per evitare che fermenti e bruci.
Nelle campagne venete, e in particolare lungo la riviera del Brenta, non è infrequente trovare oggi barchesse prive della villa: a causa della tassazione sulle ville, durante l'Ottocento molti edifici del patriziato veneziano vennero abbattuti, lasciando solo le barchesse, utili come rustici o magazzini.


 La colombaia

 

   Liberamente adattato (ma conservando gelosamente lessico e struttura sintattica originali)
   da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore   Anno II – Volume V – n. 65  15 settembre 1937 - XV
   Breve storia della colombaia - di Guarniero Daniel

 Le colombaie sono un caratteristico elemento dell'architettura rurale, di cui la nascita, vita e sviluppo si allacciano con un interessante capitolo della nostra storia medioevale.

Non esiste in questo tempo una vera proprietà terriera; il signore amministra il feudo ed è questo un diritto ereditato dai padri o concessogli dall'imperatore o dal maggior feudatario; la servitù della gleba glielo lavora e gli passa la maggior parte del frutto della terra; egli poi cede a sua volta al maggior feudatario parte di questo reddito. Si è molto lontani dallo spirito della civiltà mercantile che si svilupperà fra poco e che, in fondo, è ancora la nostra: la ricchezza non consiste tanto nel denaro quanto nei diritti; diritti di imporre decime, di cacciare, di riscoter pedaggi, di possedere terre ed armenti; quando si vuol compensare un soggetto per qualche servizio reso, gli si concede un diritto: fra questi v'è il privilegio di tener colombi; risulta da documenti che nel sec. XIV i signori di Milano concedono tale diritto a loro vassalli in Lombardia e in Emilia.

È una gioia, per il piccolo signore impaziente di grandeggiare, l'ostentare, rispetto ai vassalli di ugual grado, questo titolo di lustro. La torretta pei colombi diventa così una parte importante del fabbricato rurale; la si costruisce con particolare cura e robustezza; la si fa più grande e più alta del necessario, le si conferisce l'aspetto di una minuscola fortezza entro la casa, benché il suo scopo non sia affatto di difesa (alla difesa provvede bene sovente la cinta e il fossato, talvolta munito di ponte levatoio), ed anzi le apparenti feritoie siano il riparo di pacifici uccelli.

Esse sono il più delle volte a pianta quadrata, con un lato variabile da quattro a sette metri, talvolta a pianta circolare. Sotto ogni finestra sta una tavoletta, una tegola, a guisa di mensola, od una mensoletta vera e propria, per facilitare ai colombi lo spiccare il volo e il tornare al riparo. Ben presto, poiché le finestrelle sono allineate, la mensola diviene continua e si trasforma in una specie di cornice.

Noi vediamo così che la colombaia, avendo assunto, per ragioni di prestigio, maggiore importanza che non competesse ai suo scopo modesto, con il successivo evolversi della società, con lo sparire o il decadere delle istituzioni feudali, dimentica via via la sua prima ragione di essere, diventa un elemento della casa rurale ormai acquisito alla tradizione; le particolarità costruttive che erano proprie al suo scopo utilitario si trasformano ed acquistano una vita propria di elementi decorativi, che saranno adoperati anche altrove; e la colombaia stessa diventa la  “torretta" della casa toscana.

Col sorgere dei comuni, poi, i signoroni di campagna vengono in città, e nelle città portano il loro costume architettonico. Anche lì essi vogliono la loro torretta, la quale è ormai divenuta un simbolo della ricchezza e della potenza della famiglia; la quale torretta, in città, per essere ben visibile e competere con le rivali, diventa necessariamente una torre. In tal modo può essere spiegato il sorgere delle torri per opera delle famiglie nobili soprattutto nell'Italia del centro, dove appunto più diffusa fu la costruzione delle torri colombaie. E nello stesso modo si impostò nelle città il motivo del cornicione che trovò particolare sviluppo nel Rinascimento.

Fu pertanto glorioso destino della colombaia uscire dall'ambito angusto dell'architettura rurale e influire potentemente sull'architettura cittadina, importandovi elementi, divenuti poi tradizionali; come i rosoni delle chiese, le torrette, i cornicioni, e soprattutto quella tendenza a dar movimento alle masse, specie nelle costruzioni isolate, gusto protrattosi con varie forme fino ai giorni nostri. E non è senza interesse l'osservare che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, è proprio la campagna che in questo caso, fornisce alla città gli elementi architettonici, onde questa si adornerà superbamente.

 


 Il  pozzo

 Il pozzo rurale

Pozzo a manovella

Un pozzo come tanti nelle aie delle case rurali.

Per secoli pozzaroli e rabdomanti si sono cimentati nello scavo di un pozzo con la trivella a mano. Costruirli con la sola forza delle braccia era un lavoro duro e pericoloso, questa opera d’ingegneria popolare è un piccolo capolavoro.
Non è una costruzione complessa: un muro perfettamente circolare a due teste, coronato in sommità da mattoni posti di coltello e, a segnarne il diametro, un trilite di due robuste colonne in laterizi a tre teste e sovrastante architrave in legno.
Dove fare il pozzo e a quanto scavare, lo decideva il pozzarolo rabdomante con sentenza inappellabile. La sua ricerca seguiva un antico rituale: ampi giri intorno al luogo prescelto con la forcola di legno d’olmo abilmente tenuta in mano; l’attesa che la bacchetta s’eccitasse al sentire il richiamo dell’acqua nascosta, oppure al contrario a rivelare la triste cilecca per l’inesistenza della falda acquifera.
L’operazione di andare a “coglier l’acqua della novella piova” cantata dal Leopardi, identica dai tempi dei romani al momento in cui giunge in sito l’acquedotto pubblico. In duemila anni non è cambiato il rito: corda, carrucola, mastello di legno e poi brocca di terracotta in testa.
La fatica di trivellare a mani, poi subito a murare i primi metri delle pareti del foro scavato, e il calarsi giù per dargli  con vanga e piccone, riempire le caldarelle che svuotavano i compagni di fuori. E murare ancora un altro settore circolare, ad evitare crolli improvvisi, e scavare di nuovo per metri e metri in un cilindro di un metro e mezzo di diametro.

Una fatica che viene ricordata in un antico motto: “quando ti disseti alla fonte ricordati di chi ha scavato il pozzo”.
Una testimonianza del valore di un bene come l’acqua, assoluto e così “utile et humile et pretiosa et casta” per i nostri contadini, come ai tempi di Francesco di Assisi.

Stefano Simoncini
immagine tratta da R. Orsetti - La civiltà contadina delle Marche del XX secolo

 

Il pozzo signorile

Dal punto di vista tecnico costruttivo è identico a quello rurale, la differenza sta nella nella scelta dei materiali. Il rivestimento della vera viene realizzato con pietra scolpita, il trilite prevede diverse soluzioni: due colonne con capitello, l'architrave ad arco ribassato, elemento unico in ferro, maglia di ferro a cupola e molte altre soluzioni tutte rispondenti all'unico scopo di "arredare" il sito in cui viene collocato. Con buona pace del pozzarolo.

 


Il brolo

 

 Liberamente tratto da:  E. Turri, Villa veneta - Bertani ed. ,1977

I terreni migliori della grande proprietà dei signori erano quelli del brolo, una vasta area recintata da un alto muro che si snodava per diversi chilometri tutt' intorno, con torrette di vedetta agli angoli.
Nei punti più valicabili il muro portava conficcati sulla sommità dei cocci di vetro per impedire l' accesso agli estranei.
Il brolo era diviso in varie sezioni: nella parte bassa, pianeggiante, vi erano grandi mace 1, divise da bine 2, per il frumento, la polenta, l'erbaspagna 3; più vicino alla villa si trovavano i frutteti, le colture pregiate, i vigneti per l' uva da tavola, l' uva regina, l' uva moscata, l' uva fragola; sopra i terreni più asciutti, si trovavano le vigne per il vino buono, la rondinella, la molinara....
Brolo

 

Dentro il brolo vivevano, con le loro famiglie, anche i mezzadri, i lavoranti ed i salariati.
I lavoranti e i salariati coltivavano i campi del brolo, ma alcuni di quest' ultimi attendevano anche ai lavori più diversi, direttamente sotto i padroni: governare i cavalli, curare il giardino, tenere la cantina, fare i lavori domestici più pesanti nella villa..

La trasformazione del terreno era una delle fasi dell' allestimento del "brolo", l'appezzamento che ogni fattore gestiva solitamente dietro casa, con rigore assoluto ma secondo gusti e preferenze personali.
Nei "broli di fruttari" , ossia nei frutteti, il livellamento del suolo era a capo di ogni regola, un po’ come lo sminuzzamento e l' uniformazione delle sopraelevate aiole (che gli scrittori citavano col nome di "porche" per farsi capire dai contadini, giacché se avessero usato nomi come "coltre", "prese" o "praci" non sarebbero stati capiti).
E' sempre più difficile osservare dei "broli di fruttari" strutturati all' antica maniera, dato che il sistema antico consigliava l' impianto promiscuo - ma disposto in filari - d' ogni sorta di specie, mentre oggi è assai più facile incrociare frutteti con limitate varietà, non di rado con una soltanto. Gli spazi tra filare e filare erano di cinque pertiche venete, mentre tra pianta e pianta di quattro o cinque.
Ogni fattore disponeva di un grande assortimento di varietà, in quanto il brolo era una fonte di guadagno ma anche una perenne riserva di sostentamento e di risorse ( se concimato con una "grassa" ben matura, consentiva pure un' eccellente produzione di fieno).
E' merito degli autori antichi e delle trascrizioni orali se conosciamo i nomi di molti generi di peri, "pomari", "fruttari a osso" (appartenenti alle drupacee) , fichi e "novelle" (avellane), che si coltivano nelle nostre zone (fra Treviso, Padova e Venezia).

 

 

(1) macia: campo, parcella coltivata; deriva da macchia, cioè una superficie boscosa o che comunque appare come elemento distinto nel
                   tessuto dei campi.
(2) bine: filari di viti, che appunto vengono abbinati. Sono nel paesaggio, l'espressione di un ordine, di un geometrismo, che rivela l' amore
                stesso del contadino al proprio campo.
(3) erbaspagna: erba medica, coltivata per farne foraggio.

Successivamente il Barocco offrì la possibilità di inserire anche ulteriori elementi come le cascate e le sculture ricavate dai bossi.