Salone ensemble

Alla storia romana cui si ispiravano le decorazioni esterne fa seguito, all’interno della villa, un ciclo ispirato alla mitologia greca e narrato nelle Metamorfosi di Ovidio, testo sacro per gli umanisti.

Fin dal Trecento le Metamorfosi sono state lette in chiave etica e religiosa e l’eco si coglie in pieno nella collana pittorica di Brugine.

In un commento all'opera di Ovidio si scrive: «sotto la scorza di questa finzione si trova contenuto il sugo della moralità e della teologia».

Se gli amori degli dei, pur non esenti da tragiche conclusioni, sono tutti apportatori di benefici per la vita dell’uomo, quelli umani raffigurati sulla parete a ponente saranno solo sterili drammi, legati fra loro dai lutti e dai dolori che generano le passioni terrene.

Nell’adiacente salone un illusionistico colonnato dorico sostiene una trabeazione a metope e nicchie con busti bronzei tra putti, dividendo le due pareti principali in quattro grandi riquadri con favole mitologiche.

 

Sulla parete di levante troviamo:

  • il primo episodio, ritenuto di Bacco e Arianna, è da identi­ficarsi con Vertumno e Pomona, come attestano la corona di fiori della dea e la frutta, che tiene in grembo, nonché la presenza di Priapo,
  • Venere che trattiene Adone dalla caccia,
  • la terza fa­vola rappresenta Giove con il fulmine in mano che appare a Semele, e non Giove e Danae come attribuito in precedenza,
  • infine Apollo e Dafne.

Sulla parete di ponente incontriamo:

  • Cefalo e Procri,
  • Ercole e Deianira con Nesso morto ai piedi,
  • Circe che trattiene Pico, re di Ausonia. E’ stato possibile riconoscere questa favola grazie all’incisione con lo stesso tema presente nel commento alle Metamorfosi di Ovidio di Nicolò Degli Agostini,
  • Narciso che si specchia nell'acqua .

Sopra le porte coppie di uomini seminudi e di figure femminili variamente abbigliate, di cui due con fiaccole rivolte a terra in segno di pace. Dietro le figure allegoriche vi sono storiette monocrome, non più leggibili, eccetto un San Girolamo sulla parete di levante.

Nei miti raffigurati sulla parete di levante del salone sono protagonisti gli dei, su quella di ponente gli uomini, esprimendo ciascun gruppo due concetti diversi.


 LATO EST

Gli amori degli dei, pur non esen­ti da tragiche conclusioni, sono tutti apportatori di benefici per la vita dell’uomo.

Salone Vertumno e Pomona

Vertumno e Pomona

La serie degli Amori degli dei si apre con Vertumno dio etrusco delle stagioni e Pomona, antica divinità italica, che presiede alla fruttificazione.

Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno e fu largamente ripreso anche dai Romani, soprattutto collegato ai riti e alle orge dionisiache. Il suo culto era anche fortemente associato al mondo agricolo ed alla protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti.

Oltre a essere l’esempio di una coppia felice, costituiscono per la loro protezione dei frutteti un richiamo a quel “brolo”, ricordato in tutti i documenti riguardanti la proprietà di Brugine. Questo ha indotto a pensare che il legame con le successive favole sia dato pure dall’allusione all’ambiente campestre e alla sua celebrazione attraverso i velami del mito.

Pomona era appassionata delle piante da frutto, e da loro prendeva nome. Non amava le foreste o i fiumi, ma la campagna, e gli alberi ricolmi di frutti. Non portava un giavellotto, ma un falcetto, con cui spuntava la vegetazione, curava innesti, liberava il terreno dalle erbacce. La sua passione per i frutti la portava anche a essere totalmente indifferente agli amori: poiché era, però, piuttosto attraente, doveva sempre guardarsi dalle attenzioni dei maschi, e per questo motivo aveva accuratamente recintato il suo frutteto, e non permetteva agli uomini l'accesso. E non solo dagli uomini doveva guardarsi, ma anche dai satiri e dai fauni, e pure da qualche divinità.

Chi più di ogni altro la desiderava era il dio Vertumno, che presiede al cambiamento stagionale e che possiede la capacità di assumere la forma che più gli aggrada. Vertumno, acceso di passione, passava di fronte al frutteto di Pomona, ora camuffato da vigoroso mietitore, ora da allevatore: passava con un cesto di spighe o con il fieno tra le tempie, ora con un pungolo ora con la falce in mano; passava con una scala, e sembrava un contadino che andasse a cogliere i frutti, o assumeva le sembianze di soldato di passaggio o di pescatore. Insomma, si mascherava in tutti i modi per godersi la vista di Pomona.

Fattosi più audace, un giorno vestì le sembianze di una vecchina, ed entrò nel frutteto della sua amata. Ammirò gli alberi carichi di frutti e ne approfittò subito per lodare Pomona e darle un bel po' di baci: insomma, se la baciò più di quanto una vecchina avrebbe mai fatto. E poi si sedette e additò alla bella un olmo a cui si era avvinghiata una vite carica di grappoli mostrò alla dea come l’uno prendesse vantaggio dall’altra. Le raccontò anche la storia di Anassàrete, che rifiutò l’amore di Ifi e si trasformò in una statua di pietra: così cercò di convincere Pomona che il suo destino era l’unione con un dio fedele, giovane e bello, come Vertumno appunto. Ma le parole della vecchia risultarono vane. Vertumno allora riprese l’aspetto giovanile e apparve a Pomona in tutto il suo splendore.
Si apprestava a prenderla con la forza, ma questa non servì: sedotta dalla bellezza del nume, anche lei fu vinta da amore.  A volte i fatti contano mille volte più delle parole.


 Salone Venere e Adone

Venere e Adone

L’episodio di Venere e Adone vuole dimostrare come il giovane tentasse di vincere la passione con l’esercizio dell’agricoltura e della caccia. La prima attività è il movente dell’erezione della villa, la seconda è uno degli spassi dei gentiluomini in campagna particolarmente consone qui a Brugine, vicina alla laguna.

Afrodite, dea dell'amore, è la più bella tra le immortali. Per ubbidire al padre Zeus sposa Efesto, il deforme dio del fuoco. Lo tradisce però con Ares, dio della guerra, che non è tuttavia il suo vero amore. Infatti è innamorata di Adone...
Adone nacque da Mirra, una fanciulla che era stata trasformata in albero per punizione di una sua grave colpa. Quando, da una fenditura dell'albero, il piccolo Adone venne alla luce, le ninfe lo raccolsero commosse e lo nutrirono, allevandolo nelle grotte d'Arabia. Il fanciullo, crescendo, divenne bellissimo. Mentre cacciava in un bosco sacro, Afrodite lo vide e s'innamorò di lui, dimenticando Ares.
Ma il dio della guerra se ne accorse e decise di punire ferocemente il rivale. Si mutò in cinghiale, e indusse Adone ad inseguirlo; poi gli si rivoltò contro e lo sbranò. Adone lanciò un grido così alto che Afrodite lo udì e accorse trafelata. Lo trovò in un prato, già morto.

Il sangue macchiava l'erba attorno e, per volere della dea, il corpo di Adone si trasformò in un anemone rosso come quel sangue.

Intanto l'anima scendeva agli inferi, dove regnava Persefone. Afrodite si recò a sua volta tra le ombre, per reclamare l'innamorato.

Ma Persefone si rifiutò di restituirlo, perché anche lei se ne era innamorata. Afrodite era una dea potente e cocciuta e non aveva nessuna intenzione di cedere, perciò restò nel regno dei morti protestando, mentre sulla terra, privata della sua presenza, tutto inaridiva.

Zeus risolse il caso senza far torto a nessuno: decise che Adone avrebbe trascorso alcuni mesi con Persefone, altri accanto ad Afrodite che si accontentò e tornò a fecondare la terra, in primavera. Al suo passaggio tornavano a fiorire le rose e gli anemoni.


 Salone Giove e Semele

Giove e Semele

Dal tragico amore di Giove e Semele nasce Bacco, mito che il commentatore ovidiano paragona alla fecondazione delle viti, cultura praticata pure nelle terre dei Roberti, dove alcuni pagamenti erano effettuati in vino, secondo i documenti pubblicati da Bozzolato.

Zeus si era innamorato di Semele, figlia di Cadmo e Armonia. Unendosi segretamente con la fanciulla, principessa di Tebe, concepisce con lei Bacco. Giunone venuta a sapere che Semele è incinta, diviene furiosa e decide di vendicarsi. Così, scesa dall’Olimpo nella reggia di Cadmo, assume le sembianze della nutrice della fanciulla, e riesce ad introdursi nella sua stanza.

Decisa a vendicarsi, fingendo di metterla in guardia, insinua in Semele il dubbio che il suo amante non sia realmente il sovrano degli dei. Per esserne certa avrebbe dovuto chiedergli una dimostrazione. La fanciulla, persuasa dalla finta nutrice, si convince e chiedere al suo spasimante di mostrarsi a lei nello stesso aspetto in cui si mostra alla sua consorte divina.

Tale visione non le avrebbe lasciato scampo poiché un mortale non può sopportare la visione divina senza rimanerne ucciso. Non appena il suo amante le è di fronte, Semele fa in modo che egli giuri di accontentare qualsiasi sua richiesta e così il sovrano degli dei, annebbiato dall’amore, le concede il giuramento sacro sullo Stige, giuramento che per una divinità è irreversibile.

Non appena la giovane comincia a formulare la sua richiesta, Giove cerca di fermarla, di chiuderle la bocca, ma senza riuscirci. Così, vincolato dal giuramento, sceglie il fulmine più piccolo per provocarle meno dolore: la conflagrazione è tale che Semele resta immediatamente incenerita.

Un attimo prima della morte però, Giove estrae Bacco dal ventre di Semele e se lo cuce nella coscia per completarne la gestazione.


 Salone Apollo e Dafne

Apollo e Dafne

La favola di Apollo e Dafne, simbolo di castità, la presenza di Peneo, il padre della ninfa, sta a ricordare, sempre per Degli Agostini, l’origine dell’umidità necessaria alla terra per germogliare. Apollo vantandosi con Cupido, dio dell’Amore, lo derise dell’ arco e frecce, ed affermando che quelle armi non sembravano adatte a lui.

Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: per dimostrare di cosa fosse capace il suo arco colpì il dio con la freccia d’oro che faceva innamorare, e la ninfa Dafne, di cui Apollo si era invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore. Apollo, non appena vide la ninfa, figlia del dio-fiume Peneo, cominciò a corteggiarla.

Già prima la fanciulla aveva rifiutato l’amore del dio, dedicandosi piuttosto alla caccia come seguace di Diana, essendo stata colpita dalla freccia di piombo di Cupido, quando lo vide, cominciò a fuggire.

Apollo si mise allora ad inseguirla, elencandole i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma la ninfa continuò a correre, finché, ormai quasi sfinita, non giunse presso il fiume Peneo, e chiese al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma.

Dafne si trasformò così in albero d’alloro prima che il dio riuscisse ad averla, egli, tuttavia, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra: con questa avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra; ed inoltre, d’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i condottieri.  


 

LATO OVEST

I miti umani, raffigurati sulla parete a ponente, saranno solo sterili drammi, legati fra loro dai lutti e dai dolori che generano le passioni terrene.
Un insegnamento quindi a dominare le passioni dei sensi, sull’esempio di San Girolamo, affrescato non a caso su questa parete, in accordo con la vita virtuosa dell’ambiente agreste riscoperta da Petrarca.

 

Salone Cefalo e Procri

Cefalo e Procri

Procri, figlia del Re di Atene e Cefalo, Re della Focide, valenti cacciatori, erano profondamente innamorati, ma tormentati dai rispettivi sentimenti di gelosia.
Si erano scambiati promessa di eterno amore ed eterna fedeltà, ma ad insidiare la promessa, arrivò Eos, la rosea Aurora.

Il giovane respinse le profferte amorose della Dea, ma questa insinuò in lui il dubbio sulla fedeltà della bella sposa affermando che Procri non avrebbe saputo resistere alla tentazione in cambio di un ricco dono.

Stretto nelle maglie della propria gelosia, il giovane decise di mettere alla prova la bella sposina. Si trasformò in un’altra persona e riuscì a sedurla con la promessa del dono di una preziosa corona d’oro.

Amareggiato e deluso, rivelò alla bella e fedifraga sposa la sua vera identità poi l’abbandonò, accettando le offerte d’amore della Dea Aurora.
Pentita, ma anche umiliata, Procri lasciò l’isola per raggiungere Creta dove re Minosse, invaghitosi di lei, le fece dono di una freccia infallibile e di un cane che non mancava mai la presa.

Minacciata da Pasifae, moglie di Minosse, Procri si dovette cercare un nuovo rifugio; travestita da ragazzo, tornò ad Atene dove assunse una nuova identità e diventò per tutti Pterelao il Cacciatore.

Ma il Destino volle fare nuovamente incontrare i due innamorati che si ritrovarono fianco a fianco durante una battuta di caccia.
Cefalo non la riconobbe, ma quando Procri gli si rivelò, i due finirono per riconciliarsi e tornare insieme.

Procri, però, continuava ad essere tormentata dalla gelosia ed era convinta che Cefalo andava a caccia ogni mattino prima dell’alba, per incontrarsi con Eos.
Una notte volle seguirlo e Cefalo sentendo un fruscio tra i cespugli, scagliò l’infallibile freccia che non mancò di cogliere il bersaglio.

Tormentato dal rimorso e inconsolabilmente innamorato, il giovane fugge in un'isola che da allora porta il suo nome: Cefalonia, e poco dopo si uccide.


Salone Ercole e Dejanira

Ercole e Dejanira

Ercole era sposato con Deianira. Dovendo traversare il fiume Eveno, incontrarono il centauro Nesso che si offerse di traghettare la moglie di Ercole. Ma il centauro, innamoratosi della donna, cercò di rapirla, e per questo fu ucciso da una freccia scagliata da Ercole.

Il centauro, per vendicarsi, prima di morire diede alla donna un po' del suo sangue dicendole che con esso avrebbe potuto preparare un unguento che le avrebbe permesso di conservare l'amore di suo marito. In un successivo episodio Ercole, dopo una spedizione vittoriosa contro Eurito di Ecalia, conquista Iole, la figlia di Eurito.

La moglie Deianira saputo di Iole, cercò di riconquistare il marito con un unguento preparato con il sangue del centauro Nesso. Intrise una bianca veste con questo unguento, e diede l'indumento a Lica per consegnarlo ad Ercole. In realtà il sangue che Nesso aveva dato alla donna era velenoso e quando Ercole indossò la veste il veleno cominciò a penetrargli nella pelle infiammandola e quasi rendendolo pazzo dal dolore.


 Salone Circe e Pico

Circe e Pico

Secondo Ovidio il Picchio verde era originariamente un uomo affascinante di nome Pico, re dell'Ausonia e fondatore di Albalonga, che aveva sposato la ninfa Canente.

Durante una battuta di caccia lo vide Circe vestito con un mantello verde fissato da una borchia d'oro, e se ne invaghì. Isolatolo dai compagni di caccia grazie al ricorso alle sue arti magiche, Circe gli apparve e gli dichiarò il suo amore, ma Pico la rifiutò dichiarandosi fedele alla moglie Canente.

Infuriata, la maga lo trasformò in un uccello, appunto il picchio, che mantenne i colori del mantello (la testa del Picchio verde è rossa) e della borchia (il collo dell’uccello è giallo).


Salone Narciso ed Echo

Narciso ed Eco

Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età, era un giovane di tale bellezza che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, li respingeva tutti.

Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi desiderosa di rivolgergli la parola, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa dicendole di lasciarlo solo.

Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce. Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso.

Il ragazzo, mentre era nel bosco, si imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che fosse lui stesso.

Solo dopo un po' si accorse che l'immagine riflessa apparteneva a lui e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell'amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente.


Salone Sovraporta 2 Salone Sovraporta 3 Salone Sovraporta 8

 

Fregi

Sopra le porte coppie di uomini semi­nudi e di figure femminili variamente abbigliate, di cui due con fiaccole ri­volte a terra in segno di pace.

Dietro le figure allegoriche vi sono storiette mo­nocrome, non più leggibili, eccetto un San Girolamo sulla parete di levante.

Il vano al piano superiore è spartito da cariatidi, sulla parete a sud è raf­figurata Medea che rinnova il sangue a Esone con un salasso.

Su quella a ovest sono affresca­te le ninfe che scoprono la maternità di Callisto. Su quella a nord si trova Giove che nell’aspetto di un satiro sco­pre Antiope.

Infine su quella a est Atena e le Muse.

 

Le attribuzioni dei soggetti rappresentati sono tratte dalla relazione di Luciana Crosato Larker